Una Dolce Topia
A Sweet Topia
Melissa Lohman solo exhibition curated by Antonello Tolve Museo delle Mura, Rome, 20-31 October, 2021 The exhibition, A Sweet Topia, began when the visual artist Giuseppe Tabacco asked Melissa Lohman to create a performance using beeswax, the material he usually works with, for the Museo delle Mura, Rome. Melissa understood that this organic, sensual material would allow her to leave the traces of her action in the museum. After experimenting in Tabacco's studio, she decided that for the performance she would model 120 x 150 cm. sheets of canvas coated with beeswax into delicate sculptures, with the heat of her body. The sculptures would then remain in the space as an installation. The performance took place in different environments at the museum, over the span of one morning. The video of the event, by Salvatore Insana, was projected in a loop during the exhibition. |
Una Dolce Topia
Mostra personale di Melissa Lohman a cura di Antonello Tolve Museo delle Mura, Roma, 20-31 ottobre, 2021 L'esibizione, Una Dolce Topia, nasce quando l'artista Giuseppe Tabacco chiede a Melissa Lohman di realizzare per il Museo delle Mura di Roma una performance, con la cera d'api, il materiale che usa abitualmente. Melissa intuisce che questo materiale organico e sensuale le permette di lasciare tracce della sua azione nel museo. Dopo aver sperimentato nello studio di Tabacco, decide per la sua performance, di modellare delicate sculture in tela di cotone da 120 x 150 cm., ricoperte di cera d'api, con il calore del suo corpo. Le sculture poi, rimarranno come installazione nello spazio. La performance si svolgeva in diversi ambienti del museo, nell'arco di una mattina. Il video dell'evento, di Salvatore Insana, era proiettato in loop durante l'esibizione. |
A sweet topia to start from and to return to
by Antonello Tolve The body as place, as an environment which both welcomes and rejects, as epidermic territory of Innen and Aussen or even as a space that absorbs time into itself and, as time that sucks up space, the body - “this small utopian nucleus from which I dream, speak, proceed I imagine, perceive things in their place and also deny them through the infinite power of the utopias which I imagine.” (Foucault) - is the privileged outpost from which the recent works of Melissa Lohman (New York, 1976) spring. All of the works are linked to a silence which prevents the abuse of words and does not leave itself to be abused. In terms of thought, this new project, born in part from a dialogue with the modus operandi of Giuseppe Tabacco (for years engaged in a process of alchemical transformation of beeswax) and organized in Rome in the prestigious spaces of the Museo delle Mura, is tied around the axis of a ghostliness intended, first of all, as the presence of a mute absence, a bare rind, the memory of an event which seems to always be possessed by the present (and which is a step away from certain orchestrations by Yves Klein and certain freezes by Jasper Johns). The project, in fact, specifically involves work which results from performative instances (Lohman’s research is closely tied to experimental dance and theater), from an action that happens in real time and subsequently seeks to manifest itself through the material - even temporal and sonic - opposite itself: in the sinuosity, flexuosity, tortuosity of waxed cloth, heated by the body alone to become (momentarily) a malleable and anodyne mantle, for example. Or in the geometric crispness of paper which wrinkles to wrap the body and create lanes, impervious paths on which the artist draws a sort of pattern of her own plasticity, extended, captured from an unpredictable angle, visible only later when Lohman decides to peel the paper off of herself, leaving it empty yet full of life. In these works, whether they are of the first or second performative nucleus, the body seeks itself and is consciously eluded thanks to a new anthropometric measure and to a eurythmic exercise that precisely crosses the horizons of material to stage a story crafted of inevitably empty objects, of destined casings, of pleasant absences offered only through their delicate and almost diaphanous opposite. On the one hand, in the two towers we find (on the first floor, moreover, the video of this new performance is visible) some embraces of waxed cloth - of these more strictly sculptural works, only one is presented as an envelopment of the body, like a shell that had received the body and now shows itself as a spherical covering - which indicate an opening to, on the other hand, three sheets of packing paper along the corridor connecting the two towers. These are elegant and sophisticated anthropometric revelations, works born from a previous action (Monster Me, performed at Studio Campo Boario, Rome in 2020) which sees the artist in the act of seeking to adhere her own features to sheets of paper in order to trace and indulge them with the greasy point of an oil pastel. The roundness of the body is transformed into a tracing, into line, into a story open to the telling of a gesture consumed in following the lines of the face, indicating the neck and the side, advancing to the circularity of the breasts and nipples, descending to the arches of the ribs and going down to define the root of the thighs, attempting the noisy descent to the knees, the ankles, the feet. |
Una dolce topia da cui partire e a cui tornare
di Antonello Tolve Il corpo come luogo, come ambiente che accoglie e respinge, come territorio epidermico dell’Innen e dell’Aussen o anche come spazio che assorbe in sé il tempo e come tempo che risucchia lo spazio, il corpo – «questo piccolo nucleo utopico dal quale sogno, parlo, procedo immagino, percepisco le cose al loro posto e anche le nego attraverso il potere infinito delle utopie che immagino» (Foucault) – è l’avamposto privilegiato da cui scaturiscono i recenti lavori di Melissa Lohman (New York, 1976), legati tutti a un silenzio che impedisce l’abuso delle parole e che non lascia abusare di sé. In materia di pensiero questo suo nuovo progetto nato in parte da un dialogo con il modus operandi di Giuseppe Tabacco (da anni impegnato in un processo di trasformazione alchemica della cera d’api) e organizzato a Roma nei prestigiosi spazi del Museo delle Mura, si annoda lungo l’asse d’una spettralità intesa prima di tutto come presenza di una muta assenza, come nuda scorza, come ricordo di un accadimento che sembra essere sempre posseduto dal presente (e che si trova a un passo da certe orchestrazioni di Yves Klein e a un passo da certi congelamenti di Jasper Johns). Si tratta infatti, nello specifico, di un lavoro che nasce da istanze performative (la ricerca di Lohman è strettamente legata alla danza sperimentale e al teatro), da una azione che si svolge in tempo reale e che cerca successivamente di manifestarsi attraverso la materia – anche quella temporale, anche quella sonora – che gli è opposta: nella sinuosità flessuosità tortuosità della tela incerata e riscaldata dal solo corpo per diventare (momentaneamente) manto malleabile e anodino ad esempio, o nella croccantezza geometrica della carta che si stropiccia per avvolgere il corpo e per creare delle corsie, dei sentieri impervi su cui l’artista disegna un certo schema della propria plasticità, distesa, colta da una angolazione imprevedibile, visibile soltanto in un secondo momento, quando Lohman decide di scollarsi di dosso la carta ormai vuota eppur pregna di vita. In questi lavori, che siano essi del primo o del secondo nucleo performativo, il corpo si cerca e si manca consapevolmente grazie a una nuova misura antropometrica, a un esercizio euritmico che incrocia appunto gli orizzonti della materia per mettere in scena un racconto fatto di oggetti necessariamente vuoti, di involucri destinali, di piacevoli assenze che si offrono soltanto mediante il loro delicato e quasi diafano opposto. Se da una parte, nelle due torri (al primo piano è tra l’altro visibile il video di questa nuova performance) troviamo alcuni abbracci di tela incerata che indicano una apertura all’altro – di questi lavori più propriamente scultorei soltanto uno si presenta come un avvolgimento del corpo, come un guscio che ha accolto il corpo e che ora si mostra in quanto rivestimento sferiforme –, tre fogli di carta da imballaggio, d’altro canto, lungo il corridoio che collega le due torri, sono eleganti e sofisticate rivelazioni antropometriche, lavori nati da un’azione meno recente (Monster Me tenuta nel 2020 allo Studio Campo Boario) e che vedono l’artista nell’atto di cercare una aderenza dei propri lineamenti con dei fogli di carta per tracciare e assecondare con la punta grassa di un pastello ad olio le rotondità del proprio corpo sì da trasformarle in traccia, in linea, in racconto aperto al racconto del gesto che si consuma nell’assecondare le linee del volto, nell’indicare il collo e il costato, nell’avanzare sulla circolarità delle mammelle e dei capezzoli, nel discendere sugli archetti delle costole e via via nell’andare a definire la radice della coscia, nel tentare la discesa rumorosa verso le ginocchia, verso le caviglie, verso i piedi. |