Esitazioni
Hesitations Collaboration between Marcello Sambati (Dark Camera) and Compagnia Arcalòh (Melissa Lohman, Flavio Arcangeli) performers- Melissa Lohman, Flavio Arcangeli text, sound and direction- Marcello Sambati International festival "Persephone- Dance at the border of two worlds.", Tuscania 2011 Teatroinscatola, Rome 2013 Esitazioni (Hesitations) tells of the embracing and sharing, through poetry, of forms and the languages of creatures and trees, the correspondence and distance between different living beings, their forms, the breath and silence which animates them: the near-far, the pauses and uncertainties of attraction, distance, hesitation, returning. Wanderings, crossings, similarities between innumerable incarnations of nature that search for and reject each other. A story emerges from these movements, a tale restored through the images-time of dance theater. (Marcello Sambati) |
Esitazioni Collaborazione tra Marcello Sambati (Dark Camera) e Compagnia Arcalòh (Melissa Lohman, Flavio Arcangeli) performer- Melissa Lohman, Flavio Arcangeli testi, suoni e regia- Marcello Sambati Festival internazionale "Persefone- Danza al confine tra due mondi.", Tuscania 2011 Teatroinscatola, Roma 2013 Esitazioni racconta l’accoglienza e la condivisione nella lingua poetica di forme e linguaggi di bestie e alberi, le corrispondenze e le distanze che attraversano le diverse entità esistenti, le loro figure, il respiro e il silenzio che le anima: il vicino-lontano, soste e incertezze dell’attrarre, allontanare, esitare, tornare. Vagabondaggi, incroci, somiglianze tra gli innumerabili corpi della natura che si cercano e si respingono. Da questi movimenti emerge un racconto, una storia, restituita nelle immagini-tempo del teatrodanza. (Marcello Sambati) |
Recensione
Teatro e Critica 23 marzo, 2013
Tra danza e poesia, le Esitazioni di Sambati e Arcalòh.
Sergio LoGatto
Chissà poi se sia vero o no che l’arte debba comunicare qualcosa. Scritta così, questa frase ha tutte le sembianze di una bestemmia assoluta (valida per entrambe le “fazioni”), un’idea retorica che riparte da zero e mette in discussione uno statuto fondamentale.
Non è comune, nel nostro teatro di oggi, trovare poste sul palco domande che sembrano recuperare proprio quel pensiero originario e soprattutto riconoscere loro uno stile di ragionamento assolutamente nudo, bianco e scarno, dichiaratamente essenziale, nell’apparente tentativo di indirizzarsi al pubblico e – per estensione – alla comunità teatrale levando di mezzo squilli di trombe, dichiarazioni radicali di intenti o annunci di novità rivoluzionaria.
Ci è capitato tornando, dopo tanto (troppo) tempo, al Teatroinscatola, un minuto spazio romano fatto proprio a scatola chiusa, dove andava in scena in tre repliche secche il breve lavoro Esitazioni, incontro tra il teatro-danza di Melissa Lohman e Flavio Arcangeli (Compagnia Arcalòh) e la poesia e la vocalità di Marcello Sambati.
Seduti sul parquet in posizioni estremamente composte quasi da statua indù, i due danzatori danno le spalle al pubblico che prende posto; come ombre colorate o immagini di altro tempo, sulla parete di fondo sono proiettate le loro figure erette, separate tra loro, lontane da noi. Prima che nel finale le due figure si uniscano, il semplice piazzato di luci non salirà mai al suo massimo, in scena non ci sarà bisogno di niente se non di questi due corpi che vivono da dentro lo spazio e che – con movimenti ora lenti ora frenetici, ora sincronizzati ora in chiara avversione di ritmo – danzano la carnale voce off di Sambati, i suoi colori opachi, la superficie ruvida della sua poesia netta e sepolcrale, in cui il graffiare di immagini di natura morta e stramorta si alterna al tonfo sordo di certe visioni, come cupe epifanie di consunzione, come presagi.
Nel sostantivo che dà titolo all’opera – necessariamente declinato a un plurale che ne apre mille e più sfumature – c’è quasi tutto l’occorrente per entrare in questo straniante rituale del dormiveglia: è un esperimento di ipnosi cosciente in cui ci si ritrova con i sensi invertiti, tra gli occhi che ascoltano le sillabe incrostarsi e distorcersi nell’elaborazione sonora e le orecchie che guardano i corpi farsi e disfarsi in flessioni estreme, incroci di arti e busti e illusioni ottiche che tolgono di mezzo la sembianza umana.
In più di un punto il piccolo uditorio sembra aver condiviso uno stato di attenzione profonda. Il braccio dell’uomo davanti a noi, raggiungendo – per caso o no – la schiena di chi gli sedeva due posti più in là, l’ha fatta sobbalzare di un brivido isterico, tra paura, eccitazione e ritorno alla veglia.
Al di là dei messaggi di superficie, il senso profondo di questa opera che sa di testamento (e del cui «ermetismo» lo stesso Sambati, tornate le luci in sala, si scuserà con il pubblico) sta nella presenza dello spettatore, nel semplice suo stare: una dimensione totalmente altra e resa fruibile dal pregio della breve durata trascina l’esserci dentro una necessità, un raccoglimento, una sorta di ipnosi. Allora eccola la nuova faccia di un’arte che – nonostante tutto – sta comunicando.
... Esitazioni era una prova che, senza per forza assegnare a un’opera il compito di dettare un significato, si può di certo immaginare che l’orizzonte di comunicazione dell’arte si limiti all’esternazione dei propri processi profondi. A patto che gli spazi dell’arte si impegnino in un movimento di raccolta e di inclusione che assegni al pubblico l’opportunità di entrare in contatto con quei processi.
Teatro e Critica 23 marzo, 2013
Tra danza e poesia, le Esitazioni di Sambati e Arcalòh.
Sergio LoGatto
Chissà poi se sia vero o no che l’arte debba comunicare qualcosa. Scritta così, questa frase ha tutte le sembianze di una bestemmia assoluta (valida per entrambe le “fazioni”), un’idea retorica che riparte da zero e mette in discussione uno statuto fondamentale.
Non è comune, nel nostro teatro di oggi, trovare poste sul palco domande che sembrano recuperare proprio quel pensiero originario e soprattutto riconoscere loro uno stile di ragionamento assolutamente nudo, bianco e scarno, dichiaratamente essenziale, nell’apparente tentativo di indirizzarsi al pubblico e – per estensione – alla comunità teatrale levando di mezzo squilli di trombe, dichiarazioni radicali di intenti o annunci di novità rivoluzionaria.
Ci è capitato tornando, dopo tanto (troppo) tempo, al Teatroinscatola, un minuto spazio romano fatto proprio a scatola chiusa, dove andava in scena in tre repliche secche il breve lavoro Esitazioni, incontro tra il teatro-danza di Melissa Lohman e Flavio Arcangeli (Compagnia Arcalòh) e la poesia e la vocalità di Marcello Sambati.
Seduti sul parquet in posizioni estremamente composte quasi da statua indù, i due danzatori danno le spalle al pubblico che prende posto; come ombre colorate o immagini di altro tempo, sulla parete di fondo sono proiettate le loro figure erette, separate tra loro, lontane da noi. Prima che nel finale le due figure si uniscano, il semplice piazzato di luci non salirà mai al suo massimo, in scena non ci sarà bisogno di niente se non di questi due corpi che vivono da dentro lo spazio e che – con movimenti ora lenti ora frenetici, ora sincronizzati ora in chiara avversione di ritmo – danzano la carnale voce off di Sambati, i suoi colori opachi, la superficie ruvida della sua poesia netta e sepolcrale, in cui il graffiare di immagini di natura morta e stramorta si alterna al tonfo sordo di certe visioni, come cupe epifanie di consunzione, come presagi.
Nel sostantivo che dà titolo all’opera – necessariamente declinato a un plurale che ne apre mille e più sfumature – c’è quasi tutto l’occorrente per entrare in questo straniante rituale del dormiveglia: è un esperimento di ipnosi cosciente in cui ci si ritrova con i sensi invertiti, tra gli occhi che ascoltano le sillabe incrostarsi e distorcersi nell’elaborazione sonora e le orecchie che guardano i corpi farsi e disfarsi in flessioni estreme, incroci di arti e busti e illusioni ottiche che tolgono di mezzo la sembianza umana.
In più di un punto il piccolo uditorio sembra aver condiviso uno stato di attenzione profonda. Il braccio dell’uomo davanti a noi, raggiungendo – per caso o no – la schiena di chi gli sedeva due posti più in là, l’ha fatta sobbalzare di un brivido isterico, tra paura, eccitazione e ritorno alla veglia.
Al di là dei messaggi di superficie, il senso profondo di questa opera che sa di testamento (e del cui «ermetismo» lo stesso Sambati, tornate le luci in sala, si scuserà con il pubblico) sta nella presenza dello spettatore, nel semplice suo stare: una dimensione totalmente altra e resa fruibile dal pregio della breve durata trascina l’esserci dentro una necessità, un raccoglimento, una sorta di ipnosi. Allora eccola la nuova faccia di un’arte che – nonostante tutto – sta comunicando.
... Esitazioni era una prova che, senza per forza assegnare a un’opera il compito di dettare un significato, si può di certo immaginare che l’orizzonte di comunicazione dell’arte si limiti all’esternazione dei propri processi profondi. A patto che gli spazi dell’arte si impegnino in un movimento di raccolta e di inclusione che assegni al pubblico l’opportunità di entrare in contatto con quei processi.